Chiusura percutanea del forame ovale pervio (PFO)

 

 Il forame ovale pervio (PFO) è una condizione frequente in età adulta (circa 25% della popolazione). Può essere considerato un fattore di rischio per l’ischemia cerebrale, rappresentando una comunicazione tra sistema venoso e sistema arterioso.  

Sebbene, il riscontro sia spesso occasionale, in una piccola quota di pazienti è possibile lo sviluppo di fenomeni di embolia paradossa. Quindi, la formazione di trombi a livello del sistema venoso superficiale e/o profondo che migrano e attraversano il forame ovale giungendo a livello del sistema arterioso con conseguenti eventi ischemici.

In tale gruppo di pazienti, la chiusura percutanea del forame ovale è indicata per evitare eventuali recidive dei fenomeni ischemici cerebrali.

 

Come e quando sospettare un PFO?

In alcuni pazienti, con evento ischemico cerebrale accade che non si identifichino le più comuni cause responsabili di tale evento (fibrillazione atriale, placca carotidea complicata, trombi intra-cardiaci, ecc.). 

La ricerca di un forame ovale pervio dovrebbe essere effettuata in tutti i pazienti che presentano eventi ischemici tromboembolici a livello del circolo arterioso senza una causa apparente. 

L’ elettrocardiogramma a riposo, accompagnato successivamente da un holter-ECG nelle 24h (che può essere anche prolungato fino a 72h), permette di ricercare un’eventuale fibrillazione atriale potenzialmente responsabile di un evento ischemico cerebrale. 

L’ecocardiogramma color Doppler consente di escludere eventuali trombi o difetti intracardiaci; l’ecocolor Doppler dei tronchi sovra-aortici (TSA) consente di evidenziare la presenza di placche a livello delle arterie carotidee. 

Se tali esami preliminari dovessero risultare negativi, la ricerca del forame ovale risulta essere il passo successivo del nostro inquadramento diagnostico. 

L’ecodoppler trans-cranico con test alle bolle è l’esame più sensibile e specifico per confermare o escludere la presenza di uno shunt (passaggio di bolle) destro-sinistro. In caso di evidenza di shunt, si prosegue con l’ecocardiogramma trans-esofageo per ottenere dettagli anatomici potenzialmente utili per pianificare la procedura di chiusura percutanea. 

Nel caso in cui i precedenti esami dovessero confermare la presenza di un forame ovale pervio vi può essere indicazione alla chiusura. 

Tutti i più recenti studi che hanno messo a confronto la terapia medica (antiaggregante e/o anticoagulante) con la chiusura percutanea hanno dimostrato una significativa superiorità della chiusura percutanea nel prevenire recidive di eventi ischemici cerebrali rispetto alla sola terapia medica.

Nei pazienti con età > 65 anni con ictus criptogenetico e forame ovale pervio, dato l’elevato rischio di fibrillazione atriale (che è la causa più frequente di ictus cerebrale), si consiglia di effettuare uno screening mediante loop recorder impiantabile (LRI) per circa 6 mesi, per escludere con maggiore certezza una fibrillazione atriale parossistica. 

In caso di negatività del LRI, la chiusura percutanea può essere presa in considerazione, soprattutto nei pazienti che presentano elementi che definiscono il forame ovale come ad “alto rischio” di eventi ischemici cerebrali: aneurisma del setto interatriale, shunt moderato-severo, ipermobilità del setto, concomitante embolia polmonare o trombosi venosa profonda.

 

Come viene eseguita la procedura di chiusura percutanea del PFO?

La procedura viene effettuata in anestesia generale mediante monitoraggio con ecocardiogramma trans-esofageo. In alternativa, può essere effettuata a paziente sveglio utilizzando l’ecocardiogramma intra-cardiaco.

La chiusura percutanea del forame ovale pervio è una procedura invasiva in cui delle protesi (tipo “doppio disco”) vengono impiantate per ottenere una completa occlusione di questa comunicazione. 

L’accesso vascolare viene ottenuto pungendo una vena femorale a livello della regione inguinale. Usando dei cateteri si arriva fino in atrio destro e si attraversa il tunnel del forame ovale posizionando il catetere in atrio sinistro.

La maggior parte degli operatori sceglie la protesi da impiantare osservando l’entità dell’apertura del forame ovale una volta attraversato dal catetere.

In alcune circostanze, può essere utile gonfiare un pallone da sizing (misurare) all’interno del forame ovale per capire la sua capacità di allargamento. Una volta valutata in modo ottimale l’anatomia del forame ovale, si procede all’impianto della protesi scelta.

Attualmente, i recenti studi scientifici (CLOSE, REDUCE, PFO-DEFENSE, RESPECT) hanno dimostrato una riduzione significativa del numero di recidive di eventi ischemici cerebrali dopo la chiusura percutanea soltanto per due tipi di protesi (Amplatzer, Gore). I device Amplatzer sono costituiti totalmente in nitinol (miscela di nickel e titanio), mentre il device Gore Cardioform Septal Occluder presenta una rete di nitinol completamente rivestita esternamente da una membrana di PTFE. Per tale motivo, quest’ultima protesi è di solito preferita nei pazienti che riferiscono allergia al nickel. La protesi “schiaccia” il tunnel del forame ovale (“effetto sandwich”) determinandone la chiusura.

In circa il 25% dei casi, è possibile imbattersi in un forame ovale con “anatomia complessa” ed in tali circostanze la chiusura si rende di più difficile esecuzione. Fenestrazioni accessorie, setti interatriali aneurismatici, ipertrofia lipomatosa del setto interatriale, tunnel lunghi e rigidi sono tutte caratteristiche che rendono complessa la procedura percutanea. Per tale motivo, si raccomanda di effettuare la chiusura percutanea del forame ovale in centri con esperienza e pronti a fronteggiare la chiusura anche delle non rare “anatomie complesse”. 

Dopo la procedura, il paziente viene risvegliato dall’anestesia generale. Una medicazione compressiva viene confezionata al livello della regione inguinale ove è stata punta la vena femorale utilizzata come sito di accesso vascolare e viene mantenuta per circa 24h. 

            

Raccomandazioni post-procedura:

  • Nessuna precauzione specifica deve essere messa in atto nell’immediato post-procedura. 

  • L’allettamento per circa 24h con immobilizzazione dell’arto inferiore dove è stato reperito l’accesso vascolare è l’unica precauzione da prendere per evitare eventuali sanguinamenti indesiderati a livello del sito di accesso. 

  • Subito dopo la dimissione, il paziente può riprendere una vita regolare, con tanto di attività fisica. L’unica precauzione è quella di evitare eventuali sport di contatto per i primi 3-6 mesi dopo la procedura. 

  • Una terapia con due farmaci antiaggreganti è raccomandata per i primi 6 mesi (clopidogrel e aspirina). Superata tale fase, un singolo antiaggregante (di solito aspirina) dovrebbe essere continuato fino a 5 anni dalla procedura. 

  • Ad un anno di distanza dalla procedura, viene di solito ripetuto l’ecodoppler trans-cranico per confermare la completa chiusura del forame ovale.

 

Quali sono i possibili rischi correlati alla procedura?

Le complicanze procedurali sono rare (2-4% dei casi) e di solito interessano il sito di accesso (fistole, ematomi, ecc.). 

Le complicanze più importanti sebbene estremamente rare (0.2%-2% dei casi) sono: le aritmie atriali (fibrillazione atriale), la lesione delle strutture cardiache adiacenti (auricola, vene polmonari, ecc.), lo sviluppo di trombi sui dischi del device e l’embolizzazione della protesi. In quest’ultima circostanza, di solito la protesi viene recuperata nella maggior parte dei casi stesso per via percutanea.

 

Conclusioni

La chiusura percutanea del forame ovale è una tecnica attualmente diffusa e consolidata. E’indicata nei pazienti con forame ovale che sviluppano un evento ischemico cerebrale “sine causa”. 

La procedura, se efficace e conclusa senza complicanze, è definitiva e non sono necessari altri interventi invasivi durante il follow-up.