La crioablazione delle aritmie

Ha una lunga storia che inizia negli anni ’70 con la crioablazione chirurgica delle vie anomale precedendo, pertanto, l’impiego della radiofrequenza che, invece, si è diffusa negli anni ’90, soprattutto in elettrofisiologia interventistica. A differenza della radiofrequenza, che si basa sulla applicazione di calore (+50/+70°), la crioablazione impiega, come energia, il freddo (-50°/-70°). Le lesioni, provocate dalle due fonti energetiche, sono sostanzialmente diverse. La crioablazione crea necrosi “ghiacciando” l’acqua intracellulare e rompendo le proteine citoplasmatiche e nucleari; la radiofrequenza “brucia” le cellule provocando necrosi coagulativa. Nella fibrillazione atriale parossistica l’ablazione con la crioenergia, applicata con un particolare pallone, sta diffondendosi in maniera molto promettente.

   

La procedura viene eseguita in anestesia locale o totale; i cateteri vengono inseriti per via percutanea attraverso la/e vena/e femorale/i, fino ad arrivare alle sezioni destre del cuore; mediante puntura transettale, il catetere ablatore (ovvero il catetere che materialmente eseguirà la “lesione” curativa) giunge in atrio sinistro dove sboccano le vene polmonari. L’esecuzione di una TAC o RMN prima dell’intervento è dirimente per la comprensione dell’anatomia cardiaca; il più delle volte, prima dell’intervento, viene eseguito un ecocardiogramma transesofageo per verificare l’assenza di trombi in atrio sinistro (sostanzialmente all’interno dell’auricola) e per acquisire notizie morfologiche sul setto interatriale (lo stesso esame può essere eseguito, anche per via intracardiaca, durante la procedura per guidare punture transettali particolarmente difficili. 

Sostanzialmente, la tecnica consiste nell’introduzione di una guida nella vena polmonare su cui viene fatto scorrere “over the wire” un palloncino gonfiabile. Una volta posizionato il palloncino nell’antro di una vena polmonare, lo stesso viene gonfiato e spinto fino a “tappare” l’antro della vena (l’occlusione completa viene documentata con l’iniezione di mezzo di contrasto).

A questo punto, il palloncino viene ghiacciato a temperature di circa –50°/-70° per 4 minuti circa al fine di creare una lesione circonferenziale, l’isolamento della vena,e con una singola erogazione di energia sfruttando il fatto che il congelamento favorisce una perfetta adesione del pallone all’ostio della vena polmonare, a differenza di quanto avviene con la radiofrequenza con la quale bisogna eseguire diverse erogazioni puntiformi per creare l’isolamento. Il procedimento viene poi ripetuto per tutte le vene polmonari. In questo modo l’area malata viene ibernata e isolata dal resto del tessuto cardiaco; l’isolamento viene contestualmente confermato grazie all’utilizzo di un piccolo catetere mappante che scorre sullo stesso sistema del pallone.

Rispetto alla classica tecnica con radiofrequenza, che impiega anche un mappaggio tridimensionale, un catetere mappante e l’ablazione punto a punto, la crioablazione sembra avere una serie di vantaggi:

-         tecnica più semplice (meno operatore dipendente) che richiede una più breve durata della curva di apprendimento

-         minori complicanze

-         minore incidenza di recidive e, quindi, di reinterventi.

L’efficacia risulta simile alla radiofrequenza nella fibrillazione atriale parossistica (circa 70% a un anno, senza farmaci) e minore rispetto alla fibrillazione atriale persistente. Il motivo di ciò risiede, probabilmente, nel fatto che il criopallone permette una lesione circonferenziale nella giunzione distale tra antro e vena polmonare, mentre con la radiofrequenza si possono eseguire lesioni più prossimali che comprendono una quota più o meno ampia di massa atriale. Ne deriva che la crioablazione ha maggiore probabilità di successo se il meccanismo elettrofisiologico della fibrillazione è legato essenzialmente a foci localizzati nelle vene polmonari (tipico della fibrillazione atriale parossistica). Al contrario, le probabilità si riducono se il meccanismo elettrofisiologico è legato a foci francamente antrali, per cui il semplice isolamento delle vene polmonari può non essere sufficiente.

Una possibile complicanza, peculiare della crioablazione, è la lesione del nervo frenico destro nell’ambito dell’isolamento della vena polmonare superiore destra, date le strette vicinanze anatomiche. La complicanza, tuttavia, può essere agevolmente evitata stimolando, dalla vena cava superiore destra, il nervo frenico stesso controllando manualmente la contrazione del diaframma durante l’erogazione.